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L'effetto Eco: pregiudizi e Fake News

  • Immagine del redattore: Anita Casale
    Anita Casale
  • 12 nov
  • Tempo di lettura: 6 min
fake news

Non so voi, ma ultimamente, quando leggo una notizia online, quando ascolto un dibattito acceso o mi imbatto in un commento tossico sotto un post innocuo, sento una strana sensazione. Non è fastidio o irritazione, è peggio: è una stanchezza profonda. È la consapevolezza di assistere a una recita che abbiamo visto troppe volte, un copione già scritto dove i personaggi cambiano, ma la trama resta sempre la stessa.


L’altro giorno, mi è capitato di vedere una discussione talmente accesa tra due persone, sui social, riguardo un fatto di cronaca totalmente irrilevante per le loro vite, che ho dovuto mettere via il telefono per prendere aria. Non stavano scambiando informazioni; stavano lanciando granate emotive: ognuno dei due non ascoltava l'altro, ma cercava disperatamente pezzi di "verità" che potessero sostenere il proprio castello di convinzioni.


È in questi momenti che capisco una cosa fondamentale: la disinformazione non è un semplice errore logico o una notizia sbagliata che ci viene propinata dall'esterno. È un suono che ci arriva da dentro, un "effetto eco" che risuona perché trova il terreno fertile delle nostre paure, dei nostri pregiudizi più nascosti e dei nostri bisogni irrisolti.


Le cosiddette fake news non sono efficaci perché sono ben costruite, ma perché ci suonano stranamente familiari. Ci dicono quello che in fondo, per un motivo o per l'altro, avevamo già deciso di credere. E questo è il punto più doloroso e cruciale per la nostra crescita: siamo così circondati da schermi e rumore, che spesso non distinguiamo più tra un'opinione esterna e un riflesso delle nostre paure più profonde. È tempo di spegnere l’eco.


Il costo di avere sempre ragione


Il grande inganno della società dell'informazione non è che ci vengano dette bugie, ma che noi ricerchiamo attivamente le bugie che ci fanno sentire bene.


In psicologia, lo chiamiamo Confirmation Bias (pregiudizio di Conferma) ed è un meccanismo di difesa incredibilmente umano e, al contempo, distruttivo. Significa che non cerchiamo la verità, ma la convalida. Cerchiamo la notizia, l’articolo, o persino l’amico, che ci dia una pacca sulla spalla e ci dica: "Hai ragione tu, l'altro ha torto, il mondo è esattamente come pensi tu."

Questo non è un semplice errore di valutazione, ma è una trappola che ha un costo altissimo per il nostro .


Nell'epoca dell'apparenza, dove il nostro valore non è più ancorato a chi siamo in silenzio, ma a quanto siamo visibili e a quanti "Mi piace" otteniamo, e per essere visibili, dobbiamo schierarci, dichiarare apertamente la nostra appartenenza a una tribù ideologica, politica o sociale.


Quando una fake news ci conferma un pregiudizio — che "quel gruppo è pericoloso", che "la soluzione è semplice", o che "il mondo è diviso tra buoni e cattivi" — noi la abbracciamo con gratitudine. Perché? Non ci dà solo un’informazione; ci regala l’appartenenza. Ci permette di sentirci giusti e superiori a chi ha una visione diversa. In quel momento, siamo disposti a sacrificare il nostro pensiero critico, la nostra capacità di vedere le sfumature, pur di non sentirci soli o insicuri.


È come scegliere la pillola blu.


Nel film Matrix, a Neo viene data la scelta: la pillola blu per tornare alla comoda illusione e dimenticare tutto, oppure la pillola rossa per affrontare la scomoda, ma autentica, verità. Molte volte, le fake news sono la nostra pillola blu quotidiana: accettiamo volentieri la comoda bugia che ci fa sentire validati, al sicuro all'interno del nostro circolo di certezze, e mentre lo facciamo, senza accorgercene, stiamo erodendo un altro pezzo del nostro Sé autentico, scambiando la nostra libertà di pensare con la conformità tossica. Ci stiamo accontentando di avere ragione, invece di scegliere di essere semplicemente veri.


Il rifugio nelle etichette del pregiudizio e la paura della complessità


commenti social

La mente umana è pigra. Non nel senso che non vuole lavorare, ma nel senso che è programmata per l’efficienza, per quella che gli psicologi chiamano economia cognitiva. Il nostro cervello cerca costantemente scorciatoie per non dover analizzare ogni singola informazione come se fosse la prima volta. È per questo che siamo maestri nel categorizzare il mondo: "quello è un albero," "quella è una sedia," "quello è un amico."

Senza categorie, saremmo sopraffatti dal caos.


Il problema sorge quando applichiamo questo processo di semplificazione all’essere umano e alla realtà sociale:

Le fake news, le narrazioni tossiche e i pregiudizi prosperano su questo bisogno di categorie facili e ci offrono un mondo ordinato in cui la colpa e la soluzione sono sempre chiare, e soprattutto, sono sempre esterne a noi. Ci dicono chi è il nemico e, facendolo, ci permettono di non confrontarci con la scomoda, estenuante, bellezza della complessità umana. Se categorizzi l'altro con un'etichetta rigida ("loro sono così"), non devi spendere energia per capirlo, e soprattutto non devi rischiare di empatizzare con lui.


Questa è la radice di molta ansia sociale e inadeguatezza che respiriamo oggi. Se il tuo valore è definito dalla tua appartenenza a una categoria, devi difenderla con le unghie e con i denti sminuendo le altre. Questo muro contro muro genera un circuito tossico di giudizio e odio che ci rende rigidi, intolleranti e, in definitiva, soli.


In una scena del film "L'Attimo Fuggente ", il professor Keating invita i suoi studenti a guardare il mondo da prospettive diverse, anche salendo sui banchi e lo fa per rompere il conformismo del "pensiero unico" imposto dalla tradizione. Allo stesso modo, le fake news ci costringono a scendere dal banco, a guardare il mondo solo da un’unica e comoda angolazione, quella che ci conferma il nostro ruolo nel grande show. Ma se non saliamo sui banchi, se non ci sforziamo di cambiare prospettiva, se non accettiamo che l'altro è un universo irriducibile a una singola etichetta, avremo condannato noi stessi a vivere in un'eco perpetua.


Il vero atto di libertà, oggi, è l’empatia: l’atto di respiro che ci fa uscire dalla nostra categoria per provare a comprendere l'altra.


Come costruire il tuo 'Sé Intrinseco' e spezzare l'eco.


Dopo aver compreso il meccanismo — che l'eco non è fuori, ma dentro di noi — dobbiamo decidere se continuare a vivere in una stanza piena di specchi che ci riflettono solo le nostre paure, o aprire la finestra e far entrare l'aria pulita.


Costruire un Sé Intrinseco robusto è l'unica vera risposta alla disinformazione e al pregiudizio. Finché la nostra autostima è ancorata al bisogno di avere ragione in un dibattito o di appartenere a un gruppo, saremo sempre vulnerabili a qualsiasi manipolazione esterna. Le fake news sono un problema di informazioni, certo, ma per noi sono soprattutto un problema di fiducia in sé stessi.


Il vero lavoro non è dibattere con lo sconosciuto online, ma silenziare l'eco interiore.


Questo richiede un atto di coraggio radicale: l'invito al silenzio e alla disconnessione. Se non stacchi il rumore, non potrai mai distinguere la tua vera voce dai riflessi delle paure collettive:


  1. Sostituisci il giudizio con la curiosità: ogni volta che senti il bisogno impellente di etichettare o criticare, fermati. Chiediti: "Cosa non sto vedendo? Qual è la storia umana dietro a questa etichetta?"

    La curiosità è l'antidoto all'odio.

  2. Ancora il tuo valore: Il tuo valore non dipende da quanto sei bravo a difendere la tua posizione, ma da chi sei come persona, nella tua vulnerabilità e autenticità. Scegli di Essere, non di Apparire. Scegli di costruire la tua autostima sulle tue azioni etiche, non sulle validazioni esterne.


Quando scegli l'autenticità sopra la conformità, l'eco si spegne... non hai più bisogno di armarti di certezze assolute e nemici chiari, perché la tua sicurezza non dipende da loro.


Questa è la libertà di cui parla un verso di una canzone che celebra la capacità di rialzarsi da soli:


"Sono caduto in un sonno ma ora mi sono svegliato, e non tornerò indietro."


È la dichiarazione viscerale che una volta che hai scelto la tua verità, non c'è eco o menzogna che possa riportarti all'illusione tossica. È un atto d'amore verso sé stessi e, di conseguenza, verso il mondo.


Non siamo le nostre paure, siamo le nostre scelte


libertà di scelta

Siamo arrivati alla fine di questa riflessione, e se c'è una cosa che spero ti rimanga addosso, è questa: non lasciare che il rumore del mondo definisca il tuo silenzio interiore.


L'eco delle fake news e dei pregiudizi è solo il suono di vecchi schemi, di paure ancestrali che vogliono categorizzare e semplificare per sopravvivere, ma noi non siamo solo sopravvissuti; siamo vivi. E la vita vera, quella autentica e senza maschere che tutti desideriamo, è complessa, piena di sfumature e meravigliosamente scomoda.


Quando la prossima notizia gridata arriverà a bussare alla tua porta emotiva, non rispondere subito. Non lasciare che ti armi di fretta per una battaglia che non è tua. Fai un respiro profondo e chiediti: "Questa storia sta convalidando una mia paura? Mi sta dando il permesso di odiare? Mi sta rubando la mia capacità di empatia?"


La battaglia contro la disinformazione non si vince con la polemica, né lanciando verità assolute. Si vince con l'onestà emotiva e la vulnerabilità, si vince spegnendo il telefono e accendendo la curiosità. Si vince scegliendo, ogni giorno, l'amore verso sé stessi e verso l'altro, anche quando l'altro non ci somiglia affatto.


Siamo le nostre scelte.

Scegli l'aria pulita, scegli la fiducia, scegli la realtà autentica sopra ogni apparenza.


Sei un universo, non una categoria, e in questo universo, c'è spazio per tutta la bellezza scomoda della verità.


Come sempre, con gratitudine,

Anita


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