top of page

L'Era delle maschere e del conformismo: la ricerca di autenticità in un mondo 'Così Così'

  • Immagine del redattore: Anita Casale
    Anita Casale
  • 8 ott
  • Tempo di lettura: 6 min

Essere se stessi nella massa

Ultimamente, mi capita spesso di guardarmi intorno e di sentire un peso, un senso di disagio, una domanda costante: siamo diventati tutti attori?


La società di oggi è intrappolata nel concetto di conformità, dove l'obbligo di "apparire" ha soffocato il desiderio di "essere". Questa pressione è un clima generale, un'aria satura di finzione che ci costringe a indossare maschere sociali in ogni contesto.


La costante esigenza di "prestazione" genera un ambiente tossico, fatto di critiche, invidia sociale e persino odio, soprattutto online.


Sentiamo tutti il peso di questa società dell'apparenza, una dinamica che ci sta rubando la nostra umanità più genuina conducendoci a una profonda crisi d'identità. Nonostante questo la maggior parte di noi continua a fingere che vada tutto bene.


Questo articolo non vuole polemizzare, né demonizzare il mondo in cui viviamo. È, al contrario, una mia riflessione sulla società odierna, un invito a fermarsi e capire: perché scambiamo la sostanza con l'immagine? E, soprattutto, come possiamo ricominciare a costruire relazioni sane e una vita reale al di fuori di questo circolo vizioso?


L'erosione del Sé: gusci vuoti e la perfezione finta


Il costo di questa conformità sociale si misura sulla nostra pelle e nella nostra mente, erodendo ciò che siamo in profondità. La finzione che anima la società dell'apparenza si basa su un unico, implacabile diktat: apparire perfetti, con un aspetto perfetto, una casa perfetta, perfette amicizie, infinite possibilità economiche.


Ma quanto c'è di vero in questa aspirazione? La perfezione che ci viene propinata non è altro che perfezione finta, un ideale artificiale e irraggiungibile, creato dai filtri digitali dei social e cementato da un marketing aggressivo.


Siamo diventati tutti, in modi diversi, dei gusci vuoti: la nostra energia vitale non è più dedicata alla crescita interiore, ma è spesa per mantenere in piedi una facciata, una delle tante maschere sociali che indossiamo per ottenere validazione. Il dramma è che l'autostima non è più ancorata all'accettazione del proprio valore intrinseco, ma è diventata un castello di carte che crolla al primo giudizio negativo, al confronto impietoso con un corpo digitalmente modificato, o alla prima foto non ritoccata.


Il risultato? vivere per imitazione: si inizia a fare qualcosa non perché si crede in essa, ma perché "lo fanno tutti" o perché l'ha detto l'influencer, l'amico, il genitore, il professore... I propri bisogni, i principi e le idee personali vengono relegati in secondo piano e si rinuncia silenziosamente ai propri valori, allontanandoci sempre di più al nostro vero Essere.


Questa è la radice della nostra crisi d'identità.


La spinta all'omologazione e al conformismo ha conseguenze che vanno ben oltre il digitale, infatti anche il corpo è diventato qualcosa da conformare: la diffusione preoccupante di procedure estetiche invasive, come il ricorso al Botox o il Filler per le labbra già all'età di 20 anni, è il segnale più lampante di quanto sia grave il nostro disallineamento.


Non ci si modifica per migliorare, ma per uniformarsi disperatamente all'immagine che crediamo ci renderà degni di esistere e non ci farà apparire come il diverso da criticare. È un'ansia costante di non bastare mai, di dover essere sempre più snelli, più levigati, più curati, più... semplicemente "più"


E in questo gioco, la nostra vera, imperfetta, umanità viene sacrificata.


Il contesto sociale tossico e la breccia generazionale


Generazione Digitale, generazione Social

Questo clima di giudizio e imitazione non è nato dal nulla, ma si è sviluppato con una rapidità disarmante, coinvolgendo tutte le fasce d'età.


Se guardiamo alla generazione dei nostri genitori — quella che ha vissuto la nostra età tra gli anni '80/'90 — ricordiamo un'epoca dove l'autenticità, con tutti i suoi spigoli, era la norma.


Era una società forse meno performante sotto alcuni punti di vista e ci si poteva permettere di "lasciarsi andare" in modo genuino.



Ma con l'avvento dell'iperconnessione, questo quadro è cambiato radicalmente: la generazione precedente si è lasciata traviare dalle dinamiche odierne, adottando la stessa ossessione per l'immagine e la competizione che prima era estranea.


Noi, la generazione anni '2000, siamo stati plasmati non solo dai social, e dalla cultura del contesto sociale odierno, ma anche da adulti che, pur di non apparire "meno", sono entrati in una gara senza precedenti: vi è una vera e propria lotta del genitore per il "figlio più bravo, più bello, che ha tutto".


Il figlio non è più un individuo da educare, ma un'estensione della propria perfezione finta da esibire.

La logica è semplice: se il figlio non è impeccabile, l'immagine del genitore e della famiglia "perfetta" crolla.

A questa pressione genitoriale si somma il nostro rapporto malato con i social.


Per la generazione anni 2000, l'utilizzo dei social media è diventato una vera e propria dipendenza, un circuito di gratificazione immediata che ci impone di pubblicare tutto, anche gli aspetti più intimi della nostra vita, pur di apparire.


Questa esigenza di documentare ogni cosa ha ucciso l'interazione spontanea rendendo quasi impossibile fare una conversazione profonda o godersi un'uscita con gli amici, perché è prioritario guardare lo smartphone, scattare la foto perfetta da mostrare, o dedicarsi a fare il Reel o il TikTok del momento.


Basta un piccolo esperimento: provate ad andare in un ristorante da soli, sedetevi a un tavolo e guardatevi intorno. Magicamente, noterete tavoli da due o più persone pieni di telefoni, e poveri di parole. È l'emblema di come la priorità sia l'interazione con lo schermo, non con chi ci siede di fronte.


La nostra crisi d'identità si alimenta proprio in questo spazio, dove la realtà è meno importante della sua rappresentazione.


Il risultato è un contesto sociale in cui il giudizio facile è la moneta corrente e la critica del diverso è l'inevitabile effetto collaterale del conformismo: chiunque devi dallo script dell'apparenza impeccabile diventa immediatamente il bersaglio di odio e di critica.


Le conseguenze e la risonanza di "Così Così"


Olly, così così, io me la vivo così

Le conseguenze psicologiche di vivere costantemente in questo stato di allerta sono devastanti: ansia, depressione e un senso paralizzante di inadeguatezza... ci sentiamo gusci vuoti e il nostro valore personale si atrofizza sotto il peso di un ideale irraggiungibile.


Purtroppo, la posta in gioco è ben più alta del semplice disagio.



La disperazione generata dall'allontanamento della propria identità e la perenne esposizione a critiche, odio, aggressività e bullismo,  spinge molti giovani a cercare vie d'uscita autodistruttive: assistiamo a una preoccupante diffusione di fenomeni come l'autolesionismo e, nei casi più estremi, il suicidio tra i ragazzi. Altri cercano una fuga anestetizzando il dolore attraverso l'abuso di droghe e alcol, come un tentativo disperato di spegnere il rumore assordante delle aspettative sociali.


In questo scenario, la nostra sofferenza trova un ritratto perfetto nella musica. La canzone di Olly, "Così Così", non è un inno giovanile superficiale; è un manifesto di resistenza contro l'ipocrisia sociale che abbiamo descritto.

Il testo cattura magistralmente il clima di presunzione e giudizio, evidenziando il fastidio per chi si vanta e sentenzia:

“Qua sono tutti così / Tutti sanno tutto, tutti parlano... / Qua sono tutti migliori in tutto / Tutti millantano (vai, vai) tutti sentenziano (sapete sempre voi, eh)”

Olly mette in luce l'ipocrisia di questa società dell'apparenza dove tutti si dichiarano perfetti, mentre sono i primi a dispensare critiche e a praticare il giudizio facile. Il messaggio è chiaro: la nostra generazione è stanca di questa gara. Il ritornello diventa la nostra dichiarazione di (non) guerra e di rifiuto del conformismo:

“Io me la vivo così / Che più fastidio vi do, più voglio starmene qui / Io me la vivo così”

È un modo per dire: "Accetto di essere imperfetto, non cercherò la vostra approvazione. La mia riscoperta non avverrà cercando di essere il 'migliore', ma semplicemente vivendo in un modo che sia vero per me."


La scelta di essere, non apparire


Di fronte a un panorama sociale così saturo di finzione, il passo più coraggioso non è competere, ma allontanarsi. È bene ricordare che allontanarsi non significa chiudersi in se stessi o isolarsi dal resto del mondo.


Al contrario, significa scegliere consapevolmente in cosa investire la propria energia in modo significativo. Ad esempio, la mia scelta è stata quella di eliminare i social dal telefono per dedicarmi a una vita più umana, autentica, reale. Non si tratta di una disconnessione digitale totale, ma di una ridefinizione delle priorità.


Quando ho preso questa decisione, ero consapevole, avrebbe comportato un inevitabile calo nel mio Brand e nella mia popolarità digitale, ma nonostante questo, ho preferito il reale al finto popolare.


L'obiettivo è la ricostruzione: coltivare i sogni, gli obiettivi reali, investire nella mia carriera lavorativa e accademica. Per me, questo ha significato anche iniziare a fare volontariato, un'esperienza che mi ha permesso di concentrarmi sui bisogni reali e tangibili, lontano dal rumore delle critiche e delle aspettative.


Significa investire tempo ed energia nella ricerca di relazioni sane e vere, quelle che accettano e valorizzano l'imperfezione, che offrono sostegno senza giudizio.


È solo così che possiamo invertire la rotta e ritrovare l'autenticità di essere sè stessi.


Forse il vero atto rivoluzionario, nell'epoca del conformismo sociale e della perfezione finta, è semplicemente questo: togliere la maschera.

È accettare il rischio di essere se stessi, con tutti i difetti, e ricostruire la propria autostima su fondamenta solide, interiori.


Autostima, essere se stessi, fiducia

Questo guadagno è tangibile: significa potersi guardare allo specchio, senza maschere, senza filtri o trucco eccessivo, e riconoscersi. È apprezzarsi esattamente così come si è, un atto supremo e quotidiano di amore verso sé stessi.

La vita reale non ha filtri e non richiede Reel drammatici o divertenti, ed è proprio in questa assenza di "prestazione che risiede la nostra vera, inestimabile libertà di Essere.

Come sempre,

Con affetto e gratitudine, Anita

Commenti


Logo Anita Casale Life mental e digital coach

Telefono: 3317447882
Email: anita.casale.psy@gmail.com

P.IVA 06840211004

© 2025 by Assytel di Fabrizio Casale & C SAS Powered and secured by Wix

  • Instagram
  • Facebook
  • TikTok
  • Linkedin

Contattami:

bottom of page